Le attività economiche che comportano un impatto negativo sullo stato delle acque non possono essere ammesse a deroghe ambientali se il loro fine è esclusivamente quello di generare profitto per soggetti privati. A stabilirlo è la Corte dell’EFTA, che nella decisione del 5 marzo 2025 (causa E-13/24) ha chiarito i limiti applicativi delle eccezioni previste dalla direttiva europea 2000/60/CE sulla tutela delle acque.

Il caso esaminato riguardava l’approvazione, da parte delle autorità norvegesi, di un progetto minerario che sollevava dubbi in merito al rispetto delle norme ambientali europee. L’argomentazione a favore del progetto si basava sull’impatto economico positivo e sulla creazione di posti di lavoro.

Tuttavia, i giudici hanno respinto questa visione, precisando che le eccezioni alla normativa europea sulla protezione delle acque sono ammesse solo in presenza di un interesse pubblico reale e dimostrabile, non coincidente con vantaggi economici di parte. La sola creazione di ricchezza, anche se accompagnata da entrate fiscali o benefici occupazionali, non basta a giustificare un abbassamento degli standard ambientali.
Secondo la Corte, per essere considerato di rilevante interesse pubblico, un intervento deve produrre effetti positivi che vadano oltre l’ambito strettamente aziendale o settoriale. In assenza di tali condizioni, la protezione delle risorse idriche deve prevalere.